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Dipendente trasferito con ordine di servizio illegittimo, non è mobbing

Questa notizia è stata tratta da: http://www.circolodellasicurezza.com/

Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3648 del 15 giugno 2011 ha stabilito che il dipendente che e’ stato trasferito ad un altro ufficio con nuove mansioni con un ordine di servizio, poi risultato illegittimo, non ha diritto ad alcun tipo di risarcimento per mobbing
La vicenda presa in esame dai giudici di Palazzo Spada nasce a seguito del ricorso presentato al Consiglio di Stato da un dipendente pubblico che aveva proposto ricorso al TAR del Lazio , respinto dai giudici di prime cure, chiedendo l’annullamento del provvedimento e il risarcimento del danno per il mobbing subito. In particolare il dipendente sosteneva che l’assegnazione funzionale avvenuto con ordine di servizio ad altro ufficio, unitamente ad un ulteriore complesso di atti e condotte assunti dall’ISVAP – Istituto di Vigilanza Private e di Interesse Collettivo – da cui dipendeva, avrebbero determinato una progressiva marginalizzazione ed un connesso demansionamento, assuntamente inquadrabili in un contesto di condotte riconducibili alla fattispecie del mobbing.

La sentenza dei giudici del Consiglio di Stato

I giudici del Consiglio di Stato evidenziano che per mobbing si intende comunemente, in assenza di una definizione normativa, una “condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesivo della sua salute psicofisica”.

Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti:

a) la molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio;
b) l’evento lesivo della salute psicofisica del dipendente;
c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore;
d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.

Nel verificare il caso in esame, evidenziano i giudici di Palazzo Spada, è quindi necessario, anche in ragione della sua indeterminatezza, attendere ad una valutazione complessiva ed unitaria degli episodi lamentati dal lavoratore, per accertare tra l’altro:

a) da un lato, l’idoneità offensiva della condotta datoriale (desumibile dalle sue caratteristiche di persecuzione e discriminazione);
b) e, dall’altro, la connotazione univocamente emulativa e pretestuosa della condotta.

Di conseguenza la ricorrenza di un’ipotesi di condotta mobbizzante andrà esclusa quante volte la valutazione complessiva dell’insieme di circostanze addotte (ed accertate nella loro materialità), pur se idonea a palesare “elementi od episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere esorbitante ed unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro. E’ in primo luogo necessaria, quindi, la prova dell’esistenza di un sovrastante disegno persecutorio, tale da piegare alla sue finalità i singoli atti cui viene riferito”.

Le conclusione del Consiglio di Stato

Nel caso in esame il Consiglio di Stato ritiene che gli elementi costitutivi della fattispecie di mobbing non sembrerebbero essere presenti: in particolare, non può dirsi in alcun modo provata l’esistenza di un disegno persecutorio elaborato e perseguito dall’ISVAP in danno per il dipendente ricorrente. Come osservato dai giudici del TAR del Lazio, la pur evidente illegittimità dell’ordine di servizio recante preposizione dell’appellante al nuovo istituito Ufficio per lo studio dell’evoluzione del diritto interno ed internazionale delle assicurazioni non permette di affermare l’integrazione della fattispecie di mobbing.

Per i giudici amministrativi del Consiglio di Stato nell’analizzare gli atti depositati non è in senso più generale emersa la presenza di un complessivo disegno persecutorio qualificato da comportamenti materiali, ovvero da provvedimenti, contraddistinti da finalità di volontaria e organica vessazione nonché di discriminazione, con connotazione emulativa e pretestuosa.

Per tale ragione, inoltre, risulta non dimostrata la complessità ed organicità della strategia vessatoria che può consentire di accedere alla prospettata ipotesi di mobbing. Per le motivazioni indicate il Consiglio di Stato respinge il ricorso del dipendente e lo condanna al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi euro 4.000,00 .

Autore: Federico Gavioli
Fonte: IPSOA

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